mercoledì 25 novembre 2020

Perché la Stampa mainstream fa schifo e i giornalisti sono tonti

Il titolo è clickbait e va bene così. Ora se volete pure leggere, vi spiego che differenza dovremmo considerare tra misinformazione e disinformazione, e perché la prima rende vittima gli stessi giornalisti, mentre la seconda è ingiustificabile



Il caso del paper dell’Istituto Tumori di Milano, sul nuovo Coronavirus presente in Italia fin da settembre ha provocato lo sdegno di molti, sul cattivo giornalismo e la carenza di giornalisti scientifici nelle redazioni. Ora, visto che sono stato tra i primi a smontare quello studio, posso scrivervi con tutta serenità perché - secondo me - in questo caso non si può parlare di cattivo giornalismo, bensì di giornalismo inquinato, o inquinamento informativo. È un problema, di cui le prime vittime sono proprio le redazioni dei quotidiani.


È inutile quanto dannoso dare continuamente la colpa ai giornalisti. La scarsità di tempo e l’impossibilità di avere sempre disponibili dei giornalisti scientifici non è una colpa, quanto un limite fisiologico. E lo slow journalism? C’è e si chiama settimanale di approfondimento. A parte gli scherzi, il giornalista scientifico può benissimo tornare su una notizia in un secondo momento, ovviando alle imprecisioni o denunciando una fonte che ha fregato i colleghi, colti alla sprovvista. Esattamente quel che è capitato di fare a me, o ad altri colleghi, che si sono trovati nell’imbarazzo di dover denunciare una disinformazione, dopo che la propria testata l’aveva fatta circolare.


Questa è certamente misinformazione, ma è colpa dei giornalisti quanto un asintomatico è colpevole di attentare alla vita degli anziani. Seguite la metafora: tutti noi dovremmo stare a casa per limitare la diffusione del virus, ma andare al supermercato, dal barbiere, o a prendere un caffè ogni mattina, perché l’Enel non ti attiva il gas da un mese (true story), è un limite fisiologico. Se abbiamo un focolaio di infezione, non significa necessariamente che centinaia di persone non hanno rispettato il distanziamento sociale. Fuor di metafora, è molto probabile, se salta fuori che una notizia errata è stata diffusa su quasi tutti i giornali, che ci troviamo di fronte a un fenomeno di inquinamento informativo.


Se a qualcuno di voi piace pensare che tutti i giornalisti - o buona parte - siano degli incompetenti, io non posso impedirvelo, ma sappiate che il ragionamento alla base è lo stesso che porta alcuni a considerare tutti i migranti irregolari, dei potenziali criminali. Non di meno, il cattivo giornalismo esiste davvero; analogamente, nelle carceri troviamo anche cittadini di paesi in via di sviluppo. Bisogna sempre contestualizzare. Allora facciamolo subito.


Nota bene prima di proseguire la lettura:

  • In ogni riga di questo articolo parlo a titolo personale, usando uno stile che differisce del tutto o in parte da quello che uso sul lavoro;
  • Non sto negando che il problema della disinformazione sia in parte dovuta a giornalisti scorretti o impreparati;
  • [Quadre] e barrati sono la cifra della libertà di stampa in questo Paese;
  • Ogni riferimento a terzi non vuole mai essere a titolo personale;
  • Prima di commentare accertati di non aver letto solo il titolo.


Disinformazione e misinformazione


L’articolo di Ivo Mej che nel suo blog, ospitato dal Fatto Quotidiano, dà voce alle tesi di complotto sugli allunaggi delle missioni Apollo è certamente cattivo giornalismo [controverso], come puntualmente denunciato dal nostro decano, Paolo Attivissimo, in un epico dibattito a colpi di tweet col direttore Peter Gomez. Mej aveva a disposizione decenni di studi, letteratura giornalistica di qualità, e la possibilità di consultare diversi fact-checker, ma ha scelto la via del giornalismo a tesi: si parte da una convinzione preconcetta, e si cerca di raccogliere tutto ciò che la conferma, ignorando le fonti che la smentiscono. Quando Claudio Messora pubblica un articolo dove si riportano affermazioni negazioniste di un collegamento tra HIV e AIDS, fa la stessa cosa [Messora è la persona, Byoblu il blog, che riporta affermazioni di altri, che fassoddoni con antani]. Poco importa se poi il testo è stato cancellato, perché non esiste ancora una rettifica a quel pezzo. 


Scelte editoriali queste sconosciute


A questi fenomeni si aggiunge un potenziale conflitto di interessi, dovuto alla necessità di trarre profitto dai click. Non tutte le testate funzionano così. Alcune come Open, non hanno scopo di lucro, tutto viene reinvestito in attrezzature, software e personale. Accusare testate di questo tipo di fare clickbait equivale a disinformare, e in certo modo a diffamare. Poche altre come il Post possono permettersi di aspettare, perché hanno fidelizzato un pubblico che aspetta di leggere le loro analisi, similmente succede col progetto Open Fact Checking (che agisce in autonomia: sfumatura che può riguardare diverse altre rubriche in altri media), grazie anche al fatto che ne fa parte, assieme al sottoscritto, l’amico David Puente, un volto pulito del giornalismo italiano, che ha conquistato la fiducia di molti. 


Il relativismo della gravità negli errori


Editore, scelte editoriali e volti noti possono cambiare notevolmente le modalità con cui una testata può permettersi di spendere il tempo a disposizione, facendo apparire più o meno gravi eventuali errori o imprecisioni. Ricordo che anni fa un maestro dell’indagine dei falsi miti, confuse Luigi XVI con Luigi XIV, il Re Sole. Un errore affatto percepito, comprensibilmente, perché la Storia non era nel focus delle sue argomentazioni, inoltre la sua fama ha permesso a tutti di comprendere che anche i migliori sbagliano ogni tanto. Cosa potrebbe succedere allora a un giornalista, di quelli che magari non devono ripetere gli stessi concetti per anni nei convegni?


Quando Open era al suo primo anno di vita ci siamo trovati sotto attacco quotidiano da parte dei detrattori del nostro editore, Enrico Mentana. Così ogni minima sbavatura diveniva un «errore grave», anche perché spesso il bisogno irrefrenabile di umiliare dei praticanti alle prime armi, superava il sincero interesse alla correttezza dell'informazione. Un retaggio di questo bullismo mediatico è ancora visibile su Facebook, sotto le mentite spoglie di pagina satirica, il cui nome richiama i 15mila CV inviati a Mentana nell'estate 2018. 


Ne sono stato vittima persino io. Non avendo (per fortuna e purtroppo) un volto noto, ero assimilato allo stigma - creato da tali buzzurri - del «giornalista scemo di Open», con buona pace degli anni - in parte già col Tesserino dell'Ordine - passati assieme agli esperti a combattere la disinformazione. In queste condizioni non puoi permetterti di confondere i Sovrani francesi. Ricordo un esempio tra tanti. Un mio articolo sui falsi miti medievali compare assieme a una foto del Rinascimento italiano, che secondo l’editor di allora andava bene, perché precedente al 1492, anno della scoperta dell’America (un falso mito ereditato a Scuola). Apriti cielo! Non solo mi sono fatto carico di un errore non mio, ma ovviamente sono diventato il cattivo giornalista che fa «errori gravi». Bè, lasciate che vi sveli un segreto: un errore è grave quando correggendolo ti tocca buttare nel cestino l’intero articolo, tutti gli altri sono re di Francia.


Quando anche i giornalisti sono parte lesa


Disinformazione e falsi miti spesso rendono vittime quanto i lettori gli stessi giornalisti che li ereditano; non solo in Italia; non solo nelle testate meno autorevoli. Quando Jonathan Foley spiega a Forbes durante gli incendi in Amazonia, che la Foresta amazzonica non è il «polmone del Pianeta», non lo fa in risposta ai giornalisti nostrani, ma al pool di analisti scientifici della BBC, e ai colleghi di Snopes, che ne riportarono l’affermazione. Recentemente la CNN ci ha annunciato che non è possibile raggiungere l’immunità di comunità contro il SARS-CoV-2, dando per scontata la differenza tra immunità naturale e quella indotta dai vaccini. Anche in questo caso, come nei precedenti esempi, abbiamo un articolo corretto, ma che non approfondisce alcuni punti, che si prestano a fraintendimento. Così abbiamo letto un po’ ovunque titoli che contraddicevano quanto emerso negli studi precedenti: tutti i positivi sviluppano gli anticorpi.


Similmente, il paper pubblicato con una peer review discutibile sulla presenza di anticorpi specifici al SARS-CoV-2 in Italia da settembre, ha fuorviato tanti colleghi, contraddicendo quanto emerso recentemente sulla cross-reattività, ovvero la possibilità, che alcune persone infettate in passato da Coronavirus comuni, possano aver sviluppato anticorpi che casualmente funzionano anche per neutralizzare il Nuovo, emerso ufficialmente nel dicembre 2019. In tutti questi casi il giornalismo non è complice ma vittima. È bene capirlo, perché a furia di «blastare» validi colleghi che ci sono «cascati» produrrà i Mej e i Messora del domani [non che ci sia niente di deprecabile, «hanno fatto anche cose buone», e poi c'è la libertà di opinione che tapioca la supercazzola con scappellamento a destra]: persone capaci e intelligenti, che a un certo punto hanno dovuto sbattere la testa contro l’arroganza scientista, che non c'entra niente con la buona divulgazione, ed è lesiva tanto quanto i ciarlatani, la paranoia complottista, e la propaganda politica; come quella cinese, che ha puntualmente usato lo studio dell'Istituto Tumori per traslare altrove lo spillover


  • Sullo scientismo, ch'è diverso dal buonsenso dello scienziato e del divulgatore ha fatto un video interessante il filosofo Rick DuFer, «Fenomenologia del negazionista». Ascoltatelo, perché se i miei accenni critici a questo mal costume vi irritano, forse non avete ben chiaro il vero senso del termine.


Meno capri espiatori e più rispetto del lavoro dei giornalisti


Una delle chiavi del problema è tutta qui, nel saper distinguere tra misinformazione (giornalismo vittima di inquinamento informativo) e disinformazione (giornalismo a tesi). È vero - almeno in parte - che il giornalismo lento screma tutti i problemi, ma non possiamo vivere di settimanali e mensili di approfondimento. Meglio sbagliare tutti i giorni nella piena libertà di farlo, che non poterlo fare mai più, perché la Stampa è arrivata troppo tardi. Un flusso continuo di informazioni è un presidio di democrazia. Quando Bob Woodward e Carl Bernstein scrissero l'inchiesta del Washington Post che fece esplodere lo scandalo Watergate, non vennero presi subito sul serio, c'era un margine che li esponeva sempre all'errore, ma hanno tirato avanti, perché potevano farlo in una Stampa libera, anche di sbagliare, senza la quale la Storia americana avrebbe potuto svolgersi diversamente. 


Il problema infatti non è l’errore, quanto il preciso intento o prassi di fare giornalismo a tesi. Chi lo fa non commette alcun errore, fa proprio disinformazione, o ammette la possibilità di farne, purché l’ideologia della sua lobby venga salvaguardata e rafforzata. Leggere bufale sui migranti o sulle Scie chimiche, non è dovuto a errori, ma a cattivi direttori responsabili, cattivi editori e cattivi lettori. Il praticante, il redattore sottopagato e il collaboratore retribuito a pezzo, non sono complici, ma vittime. È il caso di rifletterci, ma lo si può fare solo facendo un bagno di umiltà: dobbiamo capire, rispettando il lavoro di tutti, non denigrando e facendo capri espiatori.


È il ciarlatano quello che invita i suoi lettori a lasciar perdere i «media mainstream», smettiamo di aiutarlo, dando la caccia coi forconi a tutta una categoria. Se una notizia falsa viene ripresa ovunque, e non si comprende che questo può spiegarsi più probabilmente con una manovra (più o meno consapevole) di alcuni, che viene prima della pubblicazione nelle Agenzie di stampa, allora stiamo solo cercando l’untore, l’avvelenatore di pozzi: il capro espiatorio che ci farà sentire migliori degli altri, ben lungi dal risolvere un problema, quanto incentivandolo ulteriormente, e lasciando impuniti e liberi di agire chi ha davvero creato il problema alla radice. Basta andare a vedere la caterva di preprint e comunicati sensazionalisti sulla Covid-19, usciti dagli uffici stampa di vari atenei durante l'anno, per farci un'idea.

  • Sapevate che su Telegram potete seguire le rassegne quotidiane dei miei articoli per Open, e altre collaborazioni? Ecco, adesso lo sapete.

Foto di copertina: Alexas_Fotos | Giornalisti.

2 commenti:

  1. Grande approfondimento e arguto argomentazioni.
    Mi domandavo, ma se istruire giornalisti e collaboratori, almeno nelle testate di un certo livello, ad "annusare" le fake news o le notizie imprecise, un po' nello stile dei fact-checker di open, come prassi per evitare quanto possibile di cadere in questi trappoloni come il fattaccio dello studio dell'Istituto tumori?
    Queste problematiche sono note da tempo, a maggior ragione Sono uscite con forza dirompente durante la pandemia e l'infodemia dilagante.
    Le redazioni ma soprattutto chi detta le linee editoriali deve muovere il culetto.
    Su questo a mio avviso non ci sono scuse, troppa sciatteria su questa questione.

    RispondiElimina
  2. Grazie! In molti casi è anche un problema di potere contrattuale. Non tutti i giornalisti hanno le forze per dire "no, mi serve più tempo, altrimenti questo non lo scrivo". Ma non nego assolutamente che ci siano ancora colleghi che ritengono svilente farsi spiegare da altri colleghi come dovrebbero svolgere il proprio lavoro. Infine, anche a causa delle pressioni inique di cui ho accennato, occuparsi di scienze oggi - come di economia - fa venire paura a molti colleghi, perché la probabilità di venire umiliati pubblicamente al minimo errore (non potendo specializzarsi in ogni materia che trattano, né avere sempre l'esperto a disposizione) è piuttosto alta, te lo dico per esperienza diretta.

    RispondiElimina