lunedì 4 ottobre 2021

Un rilevatore di complotti nella nostra mente


Per quale ragione relativamente tante persone sono disposte a credere che l’attentato dell’11 Settembre 2001 sia un inside job americano? Quali presupposti antropologici fanno sì che l’intera industria farmaceutica intesa come Big Pharma cospiri per farci ammalare? La letteratura scientifica ha esplorato soprattutto i meccanismi più prossimi delle teorie cospirative, mentre sarebbe fondamentale scavare più a fondo, indagando le origini evolutive di questo fenomeno. Jan-Willem van Prooijen e Mark van Vugt hanno analizzato in una revisione di diversi studi sul tema, le due ipotesi più accreditate:1

a) il complottismo come sottoprodotto di vari meccanismi psicologici che dipendono dalle esperienze personali (ipotesi sottoprodotto) [by-product];

b) oppure come parte di un adattamento evolutivo, volto a rilevare potenziali coalizioni pericolose (ipotesi adattiva) [adaptation hypothesis].

Esistono nella nostra mente dei meccanismi, frutto probabilmente di diversi adattamenti evolutivi, che spiegano euristiche, stereotipi e bias. Una vasta letteratura scientifica ci porta a pensare che possano spiegare tanto il complottismo quanto la pseudoscienza, la xenofobia, eccetera.2 Se l’ipotesi dei meccanismi psicologici spiega tutti questi fenomeni (il complottismo come sottoprodotto di euristiche evolutesi per altre ragioni), quella del sistema volto a rilevare coalizioni nemiche sembra più specifico delle teorie cospirative (il complottismo adattivo, ovvero come sistema mentale evolutosi appositamente allo scopo di rilevare delle cospirazioni).

Secondo questa prospettiva esisterebbero specifici segnali di coalizione che attiverebbero delle contro-strategie adatte a prevenirle o contrastare presunte minacce esterne. Un vero e proprio sistema mentale dedicato a tale scopo potrebbe essersi evoluto quando effettivamente era funzionale, negli ambienti in cui l’umanità si trovava alle sue origini, prima della civiltà; similmente alle euristiche, di cui il cospirazionismo potrebbe essere – in alternativa – un sottoprodotto. Prooijen e Vugt concludono il loro lavoro constatando che siamo tutti potenzialmente suscettibili al complottismo:

«Gli esseri umani moderni sono molto suscettibili alle teorie della cospirazione, anche quando ci sono poche prove dirette a sostenerle. […] Suggeriamo che le teorie della cospirazione siano molto diffuse perché nella storia evolutiva della nostra specie è stato adattivo sostenere queste credenze. Resta da vedere se sia ancora adattivo per gli umani nel mondo moderno essere eccessivamente suscettibili alle teorie della cospirazione».

Nel 2004 il 49% della popolazione di New York riteneva plausibile che gli attentati dell’11 settembre 2001 fossero un inside job del Governo; il 39% era concorde nel ritenere che esistesse una Big Pharma volta a screditare attraverso la Food and Drug Administration (FDA) le cure contro il cancro. Dati simili sono reperibili negli anni successivi per diverse altre tesi cospirative. Questo suggerisce che la mentalità complottista sia piuttosto diffusa nella popolazione.

Come è fatta una teoria di complotto

La definizione più comune di teoria del complotto prevede una cerchia di «grandi vecchi» che cospirano in segreto, allo scopo di portare a termine un piano malvagio. Sono almeno cinque gli elementi che si trovano più frequentemente in questo genere di narrazioni:

1. patterns – presentano un assunto che mette in connessione reciproca persone, oggetti ed eventi;

2. agency – implicano una intenzione deliberata dei cospiratori;

3. coalitions – non esistono mai lupi solitari ma si agisce in coalizione;

4. threats – rappresentano una minaccia per la popolazione;

5. secrecy – sono chiuse alla confutazione postulando elementi segreti impossibili da smentire.

È possibile fare un parallelo con le credenze mistiche/religiose, dove un pattern di elementi casuali viene piegato a seconda della credenza. Le teorie cospirative si presentano come rivelazioni religiose; soddisfano in questo senso un bisogno di esperienze mistiche e spirituali; appagano il bisogno di partecipare a rituali sacri. Lo vediamo in maniera accentuata nelle tesi ufologiche, nel fenomeno della OOP Art e nella tesi degli Antichi astronauti. Spesso chi abbraccia queste idee è ateo, sostituisce quindi la divinità con qualcosa che ha le caratteristiche razionali/magiche più adatte. Spesso gli attori della cospirazione sono principalmente tre:

1. istituzioni governative;

2. multinazionali, banche, grandi aziende;

3. minoranze stigmatizzate (per es. gay, neri, rom).

I ricercatori notano che spesso emergono teorie di complotto nei livelli più bassi delle organizzazioni aziendali, dove i dipendenti sospettano dei manager, che li userebbero per perseguire i propri obiettivi personali. Poiché la credenza in una teoria cospirativa riflette un mind-set cospirativo, questo sarà predittivo di credenze in altre teorie del complotto non necessariamente correlate. Questo è emerso indifferentemente in diverse altre culture, non solo occidentali.

Un generatore di correlazioni e intenzioni dentro di noi

Se le teorie cospirative sono un fenomeno by-products questo implicherebbe che pattern perception, agency detection, threat management e alliance detection sono fenomeni adattatisi indipendentemente tra loro per risolvere diversi problemi di sopravvivenza e riproduzione. Viceversa il mind-set cospirativo potrebbe essere esso stesso un adattamento e gli elementi elencati dei sintomi di questo modello mentale, che sarebbe un bagaglio cognitivo presente in tutti noi.

La pattern perception riflette la nostra capacità di apprendimento associativo e spiega la tendenza a negare la casualità di due eventi che si presentano contemporaneamente. Le correlazioni spurie alimentano così la credenza nel soprannaturale – torna il parallelo con religiosità e misticismo – c’è una correlazione empirica con le teorie di complotto e il fenomeno si spiega più semplicemente con le euristiche e i bias.

La agency detection sembra collegata alle nostre capacità empatiche. Abbiamo evoluto l’abilità di riconoscere intenzionalità nelle azioni e negli eventi. Questo come nel caso della pareidolia può portare a vedere intenzioni inesistenti. Nelle credenze religiose riconosciamo questo elemento nell’antropomorfizzazione e nel dare intenzionalità agli oggetti. Questo razionalismo magico è empiricamente correlato anche alle teorie di complotto.

L’ipotesi by-products vede le teorie di complotto come un sotto-prodotto del sistema di threat management costituito dalle euristiche. Per questo vediamo una correlazione empirica tra periodi di incertezza per il futuro e maggiore diffusione delle teorie cospirative. Possiamo dividere questo sistema di riconoscimento dei pericoli in due modalità principali:

1. disease-avoidance system – prevenire le malattie;

2. self-protection system – proteggersi da rivali o predatori.

Il cosiddetto «Astronauta di Palenque» è un esempio che mette assieme pareidolia, agency detection e threat management.

Sopravvivere al gioco di alleanze e competizione

Il primo implica la competizione tra gruppi, il secondo quella tra individui. L’ipotesi adattiva vede il riconoscimento di coalizioni ostili come possibile origine del mind-set complottista. La alliance detection potrebbe essersi evoluta nell’ottica di riconoscere principalmente coalizioni amiche, per entrare a far parte di alleanze utili nell’accesso alle risorse. Il gioco di alleanze in competizione avrebbe favorito l’emergere di tifoserie, come quelle che vediamo oggi nello sport e nella politica; le troviamo empiricamente correlate anche nelle teorie cospirative.

La civiltà sembra centrale nella differenza tra l’origine adattiva e quella come sottoprodotto. Le teorie di complotto come by-products implicano infatti che questo mind-set non fosse funzionale alla fitness genetica dei primi Homo sapiens, mentre le fonti storiche mostrano una serie di comportamenti che si spiegano molto bene con schemi cognitivi (euristiche e bias) evolutisi prima della civiltà, che oggi non sono più funzionali. Un falso positivo avrebbe sempre preservato la sopravvivenza, viceversa un falso negativo implicava sempre il rischio di finire vittima di un predatore o di un rivale. È estremamente difficile oggi capire se la nascita dell’agricoltura e delle prime civiltà abbiamo costituito uno spartiacque, tale da rendere certi adattamenti non più necessari e a volte disfunzionali; oppure se fin dall’origine degli ominidi tre milioni di anni fa – o delle prime specie umane fino ai Neanderthal scomparsi 200 mila anni fa – il riconoscimento di coalizioni ostili fosse un basilare elemento in grado di determinare la fitness genetica.3

KELLEPICS | Immagine di repertorio.

L'ipotesi del cospirazionismo adattivo

Analizziamo ora le cinque principali istanze [proposition] del cospirazionismo adattivo: 1. univeralità; 2. dominio e specificità; 3. interattività; 4. efficienza; 5. funzionalità.

1. Le teorie di complotto sono universali? – È quanto si chiedono i ricercatori, a prescindere dall’origine adattiva o come by-products. La risposta sembra essere affermativa, alla luce delle evidenze storiche, le quali ci informano dell’esistenza di teorie cospirative fin dall’antichità, il loro volume non è stato cambiato dall’avvento della società digitale. Un lavoro di Uscinski et al (2014) analizza oltre 104mila lettere complottiste inviate dai lettori al New York Times dal 1890 al 2010, constatando una stabilità nel tempo delle ipotesi di complotto. Queste posso essere tramandate per generazioni contaminando diverse culture, come nel caso dell’antisemitismo.

Esempi storici di teorie di complotto possono essere le accuse di corruzione dei giovani ed empietà nei confronti di Socrate; la credenza che l’incendio di Roma del 64 d.C. fosse prima opera dei Cristiani, poi dell’imperatore Nerone. Certe volte questo mind-set cospirativo può rivelarsi realmente predittivo, come nel caso della congiura di Catilina del 62 a.C. Non è detto che tutte le culture favoriscano a pari grado il diffondersi di teorie cospirative. Esistono più probabilmente determinati segnali [cues] che potrebbero attivare il mind-set in un individuo predisposto. Uno studio di West & Sanders (2003) suggerisce che le teorie di complotto si diffondano meglio nei Paesi in via di sviluppo. La combinazione tra superstizioni e teorie cospirative sembra essere un crossover piuttosto diffuso tra diverse culture. Gli antropologi hanno osservato teorie cospirazioniste anche in popolazioni di cacciatori-raccoglitori, come gli Yanomamo, dove si crede che alcune tribù commettano stregoneria contro le rivali (Chagnon, 1988). Tuttavia non esiste una letteratura sufficientemente ampia, che abbia trattato in maniera sistematica il mind-set cospirativo nelle culture di cacciatori-raccoglitori.

2. Dominio e specificità – Lo Scimpanzé comune è un nostro cugino evolutivo, che come noi vive in gruppi dove le coalizioni all’interno del gruppo sono strutturali e regolano la vita sociale, implicando il controllo dei membri e degli estranei, impartendo punizioni o esclusioni dal gruppo, generando conflitti violenti, esogeni ed endogeni. Negli esseri umani tutto questo viene concepito attraverso il sentimento di vendetta, allo scopo di riparare i torti e ristabilire un ordine, una situazione stabile, di equilibrio.

3. Interattività – Riguarda l’insieme di segnali che possono portare a concepire come realistica una coalizione «considerevole, potente e ostile». Possono essere considerati tutti segnali di conflitto tra gruppi. È la creazione del nemico uno dei mezzi più efficienti nel generare teorie di complotto, come abbiamo visto nella storia dei totalitarismi, dal nazionalsocialismo allo stalinismo. Oggi sembra che le ipotesi cospirazioniste permeino i gruppi radicali, in special modo – ma non esclusivamente – le sub-culture di estrema destra, o non meglio collocate nella dicotomia destra-sinistra, come il rossobrunismo. I gruppi cosiddetti moderati sembrano invece meno permeabili al cospirazionismo.

Così chi si sente parte di un gruppo minacciato tenderà a rafforzare lo spirito di coesione, il fare gruppo, radicalizzandosi ulteriormente nella credenza in teorie cospirative che cementano l’unità contro la minaccia percepita. Il nemico può così essere «creato» appositamente per rafforzare la propria base. Una combinazione tra forte identità di gruppo (specialmente nelle formazioni che si percepiscono impotenti e fragili in relazione al resto della società) e la presenza di potenti gruppi all’esterno è la ricetta perfetta nel proliferare del complottismo. L’emarginazione e la stigmatizzazione sembrano essere i fattori chiave. Chi si sente per qualche ragione isolato, escluso, sarà maggiormente suscettibile di venire «catturato» dai gruppi cospirazionisti. Sono emerse almeno sei variabili nell’ambito delle quali possono essere colti dei segnali della presenza occulta di un pericolo o di una minaccia:

  • paranoia interpersonale;

  • narcisismo;

  • diffidenza generalizzata;

  • tratti ansiosi;

  • senso di sgradevolezza;

  • machiavellismo.

4. Efficienza – Secondo quanto suggerito dagli autori olandesi, questi segnali potrebbero attivare automaticamente un «conspiracy detection system», che d’ora in poi definiremo con la sigla CDS. Si tratterebbe dunque di un sistema altamente efficiente. In un individuo predisposto - secondo le circostanze che abbiamo già visto - il suo CDS si attiverebbe immediatamente alla prima correlazione spuria o alla prima coincidenza straordinaria. Nelle tesi di complotto sull’11 settembre un documento dei dirottatori trovato nei pressi del WTC dopo lo schianto del Boeing che aveva dirottato, ha la valenza di una prova. Quel che generalmente è un indizio banale (è normale che degli oggetti, anche fragili, vengano proiettati fuori da un disastro del genere, e possono essere ritrovati anche intatti, com’è successo coi documenti delle vittime dell’11 settembre) nella mind-set complottista diventa il dato incontrovertibile, che smentisce a priori la mole di prove raccolte sugli attentati. 

Lo stesso vale per l’assenza di filmati che immortalino lo schianto del terzo aereo contro il Pentagono; il fatto che siano stati trovati frammenti del Volo 93 precipitato nei pressi di Washington D.C. lontano dal cratere dell’impatto (quando un aereo precipita intatto ali, coda e cabina sono vicine, non necessariamente tutti i frammenti del velivolo); possono essere tutti segnali della presenza di una minaccia che agisce occultamente. A tutto questo si associano le euristiche e i bias. La domanda se concorrano al CDS o se quest’ultimo sia un by-product delle stesse resta aperta. Quel ch’è certo è che tali segnali sono più forti di qualsiasi preparazione analitica acquisita precedentemente. «Le skill del pensiero analitico non sono sufficienti a promuovere lo scetticismo verso le teorie cospirazioniste», affermano i ricercatori. Questo perché il CDS si attiva immediatamente, mentre le «complesse e deliberate operazioni mentali» richiedono diversi passaggi, alcuni dei quali sono trascendenti le capacita cerebrali. Per esempio, la statistica è un servo-meccanismo, ovvero uno strumento mentale, che non si è evoluto nella nostra mente, l’abbiamo dedotta noi attraverso il metodo scientifico, che si acquisisce a posteriori. Il contesto sociale e determinate condizioni individuali possono determinare il mind-set cospirazionista, a prescindere dal livello di educazione scientifica acquisita.

5. Funzionalità – Si può rispondere alla credenza in una cospirazione in due modi: evitandola o affrontandola. Nel primo caso si tratta di fuggire e mettersi al riparo dal pericolo percepito. Così si evita la vaccinazione, preferendo spendere per i tamponi pur di evitare di essere «cavie» del complotto farmaceutico. In Africa è forte la credenza in un complotto volto a sterminare la popolazione nera, così si evita l’uso del contraccettivo, eccetera. Nel secondo caso emergono guru e demagoghi che catalizzano vere e proprie lotte contro i mulini a vento e possono portare singoli sprovveduti a commettere veri e propri delitti. Ci si rifà ai propri diritti identificando la società democratica come fosse una dittatura, salvo elogiare veri regimi autoritari solo perché organici alla propria credenza (Putin, la Cina o addirittura i Talebani). Spesso filosofie pre-esistenti risultano prestarsi molto bene a entrambi gli atteggiamenti, a prescindere dalle reali intenzioni dei pensatori originali: la bio-politica di Foucault; l’ontologia di Heidegger; il postmodernismo; il marxismo; il già citato rossobrunismo. Tutti mind-set, schemi di pensiero, che hanno in parte ispirato anche stimati accademici, non solo nell’ambito della cultura umanista.

lextotan | Occhio rettiliano che tutto vede.

Foto di copertina: STOCK_MASTER_7 | occhio-che-tutto-vede-provvidenza.


NOTE

1. Jan-Willem van Prooijen, Mark van Vugt, Conspiracy Theories: Evolved Functions and Psychological Mechanisms, Perspectives on Psychological Science, 19 settembre 2018;

2. Gilberto Corbellini, Nel paese della pseudoscienza, Feltrinelli, 2019; Daniel Kahneman, Pensieri lenti e veloci, Mondadori, 2021;

3. Si consiglia la lettura dei Saggi «Sapiens – Da animali a dèi», di Y. N. Harari (Bompiani, 2017); «Armi, acciaio e malattie – Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni», di J. Diamond (Einaudi, 2005).

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